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Il test INVALSI, l’ignoranza e il marketing

Il test INVALSI, l’ignoranza e il marketing

Il test INVALSI, l’ignoranza e il marketing

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Sono molto preoccupato per la notizia uscita la settimana scorsa relativamente i risultati delle prove Invalsi che sono state fatte dagli studenti italiani. Queste hanno fatto emergere un problema di distanza, in termini di preparazione, tra nord e sud all’interno del nostro paese e soprattutto un livello del tutto inadeguato per affrontare le sfide che la nostra epoca ci pone quotidianamente.

L’informazione che più mi ha colpito è quella per la quale più di un terzo degli studenti che escono dalle scuole medie italiane hanno difficoltà a comprendere il significato di un testo scritto nella nostra lingua.

La comprensione non significa capacità di lettura ma appunto, per ciò che esprime il termine, capire il significato di ciò che si legge, a elaborarlo senza avere alcun problema a fare propri i contenuti letti.

Anche nella matematica, disciplina fondamentale che serve moltissimo nella vita di una persona, i risultati sono deludenti ed estremamente preoccupanti.

Infine i test sulla lingua inglese fanno emergere che il livello B2, obiettivo delle scuole superiori, viene raggiunto solo dal 51,8% dei ragazzi per la lettura e da un desolante 35% per l’ascolto.

Insomma il quadro è estremamente preoccupante e descrive un paese, non uno qualunque ma l’Italia, assolutamente impreparato per le sfide che nel futuro prossimo i nostri giovani dovranno affrontare nel contesto internazionale.

Se passiamo al mondo dell’impresa, aggiungo un ulteriore piccolo contributo informativo che fa capire quanto alle volte si faccia un quadro dell’Italia estremamente distante da quella che è la realtà dei fatti. Nonostante infatti l’Italia sia ad oggi ancora uno dei primi 10 player al mondo in termini di esportazioni, c’è da dire che questo risultato è ottenuto grazie al contributo del solo 4,6% delle imprese italiane.

95 imprese su 100 infatti non vendono un euro all’estero.

E se ci prendessimo la briga di andare a vedere i dati statistici del comportamento di quel 4,6% di imprese italiane che esportano, vedremmo alcuni contenuti estremamente interessanti, che vado a riepilogare velocemente.

Sulla base delle informazioni messe a disposizione dall’Istat e rielaborate dall’ICE, possiamo vedere come le imprese italiane che esportano siano circa 195 mila. Il fatturato complessivo dell’export Italia si aggira attorno ai 400 miliardi di euro.

Di questi 400 miliardi il 65% viene venduto da circa 128.000 imprese per un valore medio corrispondente a circa 180.000 euro per impresa.

Ben 135 miliardi sui 400 complessivi, pari al 34% dell’intero volume di Export del paese Italia, sono venduti da sole 828 imprese che sono grandi aziende con più di 500 dipendenti e un volume medio esportato di 173 milioni a testa.

Queste informazioni fanno emergere un quadro, anche abbastanza usuale in certi contesti, di una concentrazione di grandi risultati in pochissimi player.

L’Italia non è un paese votato all’export, visto che 95 imprese su 100 non lo fanno.

I risultati eccezionali del sistema paese, che riesce ancora oggi ad essere nei Top Ten mondiali, sono determinati da pochissimi player che rappresentano le imprese campioni del nostro tessuto imprenditoriale.

Le performance delle imprese italiane, dal mio punto di vista, ma anche dalla lettura di un po’ di dati inerenti il loro comportamento economico, sono molto più vicine ai risultati del test Invalsi.

Andando avanti di questo passo sarà sempre più difficile per le PMI competere anche all’interno dell’economia domestica.

Qual è quindi la soluzione da adottare all’interno di questo scenario e le azioni che dovrebbe intraprendere un imprenditore che abbia a cuore non solo la crescita e la sostenibilità nel tempo della propria impresa ma anche un ipotetico ricambio generazionale funzionale a lasciare nelle mani dei propri figli un’impresa che abbia non solo una storia ma anche un futuro?

La mia risposta è: cultura, conoscenza, visione.

Il tutto estremamente fondato sul marketing.

Un’impresa concepita, basata, fondata o comunque costruita sul marketing è e sarà un’impresa che vive più a lungo rispetto a un’altra che non ha questo tipo di DNA.

Esiste e sarà sempre più evidente la distanza tra l’ignorante e il campione.

Non sapere non è una colpa. Non fare nulla per colmare questo gap lo è.

Oggi il tessuto delle PMI italiane è caratterizzato da imprese che non si poggiano nella maniera più assoluta su delle fondamenta che facciano riferimento alle leggi del marketing.

Le fondamenta su cui si basano oggi le aziende del nostro paese sono quelle della produzione di prodotti che spesso non hanno nemmeno più un mercato di riferimento.

Ci sono fin troppe realtà che continuano ad affrontare il quotidiano nella stessa identica maniera e con le stesse ricette che venivano utilizzate 10 anni fa.

Manca del tutto, in troppi casi, un’attenzione certosina ai bisogni di un mercato di riferimento, una profonda conoscenza dei propri clienti target, un’offerta del sistema azienda che collimi perfettamente con le esigenze di qualcuno.

Mancano ancora le conoscenze di base che permettano di far capire all’imprenditore che oggi nella scala delle priorità viene molto prima il differenziarsi dai competitor rispetto a fare in un modo migliore il mestiere che fanno molti altri.

In sostanza mancano le fondamenta del marketing strategico che oggi rappresentano un tema di fondamentale importanza nel know-how che deve possedere chi dirige un’impresa.

Questo tipo di situazione è del tutto riconducibile alla preparazione, gravemente insufficiente, della mediana dei nostri studenti italiani.

Come per gli studenti è necessario un programma e una Task Force di intervento che possano ridurre in qualche anno il gap culturale che abbiamo e che ci limita nella competizione con il resto del mondo, così gli imprenditori devono aumentare la loro conoscenza diretta sul marketing strategico e trasformare le loro imprese in eccellenze, in primis lato marketing.

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