Continuo ad esprimere alcuni concetti sulle vendite all’estero, visto che siamo in periodo “caldo” con l’ausilio dei contributi del MISE per l’export.
Il principale messaggio che desidero enunciare è quello per il quale le imprese italiane, quelle produttrici, dovrebbero avere nel loro DNA una vocazione all’export.
Naturalmente per potersi permettere un atteggiamento di questo tipo, una visione internazionale, le imprese in questione devono caratterizzarsi da un posizionamento differenziante forte, al fine di essere scelte da clienti di un altro paese e vincere, a quel punto, una concorrenza internazionale.
Sgomberiamo il tavolo dalla convinzione che per esportare si debba per forza di cose essere grandi.
Non è così. Il 65% delle imprese italiane esportatrici ha meno di 10 addetti (fonte ICE su dati Eurostat). Ma è altrettanto vero che, come accennato in precedenza, tutte queste imprese, anche le più piccole, hanno motivi validi per convincere un cliente straniero ad acquistare da loro.
L’Europa è stata creata anche per questo, per facilitare gli interscambi commerciali tra paesi. E infatti, dati MISE a ottobre 2017, il 66% delle merci esportate dall’Italia viene venduta all’interno dell’Europa.
Vendere in Germania, Francia o Spagna, per un italiano dovrebbe essere abbastanza naturale.
Non serve essere scienziati sul perché. Un mercato da 350 milioni di persone vale di più di uno da 60.
Se il mercato domestico decresce posso puntare a mantenere un percorso di crescita aumentando le quote estere, nei rispettivi paesi.
L’Italia conta circa 200.000 imprese che esportano per un valore di 400 miliardi di euro.
Media del pollo, sono due milioni ad azienda.
In realtà, andando a leggere il dettaglio dei dati, si scopre come quasi la metà delle imprese italiane esportatrici venda molto meno di due milioni (il 65% delle imprese esportatrici vende mediamente 180.000 euro). Poco importa.
Meglio avere una visione internazionale e un SISTEMA AZIENDA pronto per vincere le partite in campo internazionale che un’impresa ancorata al mercato nazionale o peggio ancora regionale.
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Se da una parte lo stimolo che desidero trasmettere è quello di assumere un orientamento internazionale d’impresa, dall’altra non posso esimermi però dal caldeggiare un approccio cauto ed estremamente serio sul tema.
In queste settimane di interazione con gli imprenditori italiani, focalizzate sul tema dei voucher per l’export, ne abbiamo viste e sentite di tutti i colori.
Imprenditori che vogliono “provare per sei mesi” a guardare cosa possa succedere oltre ai confini italiani, budget disponibili che non pagherebbero una settimana di vacanza di una famiglia a Parigi, pressapochismo assoluto.
Il consiglio che mi sento di dare a questi imprenditori è molto semplice: lasciate perdere!
Parlate con chi ha già fatto questo tipo di percorso.
Ascoltate le storie di vostri colleghi che magari hanno iniziato a esportare qualche decennio fa.
Chiedete quante fiere hanno fatto, quanti soldi sono stati investiti, quanti fallimenti hanno dovuto superare, quanto lavoro hanno dovuto fare sulle certificazioni, sui prodotti, sul back office commerciale.
Chi ha successo oggi non ha avuto fortuna.
Bensì è stato visionario e lungimirante.
E ha iniziato ad attaccare con l’export in epoca non sospetta.
Il mondo è cambiato.
La produzione si fa nei paesi a costo del lavoro più basso del nostro.
Un’impresa italiana, produttrice, non ha la possibilità di sopravvivere se non imposta la sua offerta come PREMIUM, come unica e quindi diversa dalle altre presenti nel mercato e con sbocchi commerciali internazionali.
Produrre e vendere solo in Italia è una battaglia che pochissimi saranno ancora in grado di sostenere.
Un altro consiglio è quello di studiare nel dettaglio il proprio mercato. I propri competitor.
Chi sono i campioni della categoria?
Dove vendono?
Perché ci riescono?
Cosa hanno di diverso per cui il mercato li premia?
Prendere coraggio dai successi degli altri è un ottimo punto di partenza.
Al quale bisogna far seguire però le SACRE REGOLE DEL MARKETING.
DIFFERENZIAZIONE è una delle prime.
Posso guardare i campioni ma devo trovare degli elementi di diversità.
Studiandoli devo trovare i loro punti di debolezza e farli diventare i miei punti di forza.
Desidero essere contattato e fare il check up GRATUITO della mia impresa.
Per fare questo percorso SERVONO ANNI.
Quanto esporti in valore oggi?
Quali obiettivi hai a uno, due, tre e cinque anni?
Se ti poni degli obiettivi hai le “pezze di appoggio”?
Tradotto: hai delle strategie per cui dovresti raggiungere quegli obiettivi?
Anche in questo contesto molto spesso trovo approssimazione.
Imprenditori che buttano i numeri come al gioco dei dadi.
Quanti distributori ti servono per fare 1 milione di fatturato?
Qual è la durata del ciclo di vendita?
Quanto dura la relazione con un partner estero?
In sostanza quanto tempo, quante risorse economiche e umane servono per raggiungere determinati obiettivi?
Guardare all’estero deve essere un MUST per chi ne ha le potenzialità.
Ma, come dico sempre, non affrontare l’oceano Pacifico in un gommone.
Le chanche di successo che avresti sono dello zero virgola…
E quindi, in conclusione, hai mai pensato di vendere all’estero?
La tua impresa ne ha le potenzialità?
Se esporti in che percentuale lo fai?
In questo momento dell’anno si fanno i budget e i business plan, marketing e commerciali (un po’ in ritardo in questo caso).
Ci sono nella tua azienda delle prospettive per startare un percorso serio che preveda l’inizio di una collaborazione commerciale con nuove imprese straniere?
L’Italia è un’eccellenza mondiale in molteplici settori di business. Prima di moda e food ci sono i macchinari di impiego generale, la farmaceutica, la meccanica di precisione, la chimica.
In che settore operi?
Perché non far parte di quel 5% di eccellenze italiane che fatturano all’estero?
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Che aspetti?
Inizia alla grande il nuovo anno con un progetto e un’energia che non c’erano nella tua azienda.
Fuori dall’Italia ci sonio un sacco di clienti che sono in cerca di partner ed energie nuove.
C’è posto anche per te!